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L'ARTISTA - Biografia
(a cura di Diletta Borromeo) Alighiero
Boetti è stato uno dei più importanti esponenti
del movimento Arte Povera e dell'Arte Concettuale.
Nel 1972 ha cambiato il proprio nome in Alighiero
e Boetti.
1940-1965
Alighiero Boetti nasce il 16 dicembre 1940 a Torino.
Il padre, Corrado Boetti, è avvocato, la madre Adelina Marchisio
è invece una violinista. 
Si avvicina all'arte da autodidatta, e frequenta per un certo periodo
i corsi di studio alla Facoltà di Economia e Commercio dell'Università
di Torino, poi abbandonati.
Sin dall'adolescenza l'artista inizia a coltivare alcuni dei numerosi
interessi cui, grande viaggiatore, si dedicherà nel corso
della vita, dalla musica alla matematica, dalla filosofia all'esoterismo,
dalle culture del Medio ed Estremo Oriente a quelle africane.
Subisce il fascino di un celebre antenato, Giovanni Battista Boetti,
nato a Piazzano del Monferrato nel 1743. Monaco
domenicano dalla vita avventurosa, dal 1769 l'avo
fu missionario a Mossul (oggi in territorio iracheno) e nel Kurdistan.
La figura del monaco si intreccia con quella, leggendaria, del profeta
Al-Mansur che combattendo i russi divenne signore del Caucaso, e
secondo gli studiosi si trattò quasi certamente della stessa
persona.
Fra il 1960 e il 1965 Alighiero
Boetti realizza alcuni dipinti e disegni astratti; poi, con una
tecnica da disegno industriale, una serie di riproduzioni a china
di oggetti fra cui microfoni, cineprese e macchine fotografiche;
infine compie esperimenti con gesso, masonite, plexiglas ed elementi
luminosi.
Nel 1962 conosce Annemarie Sauzeau, che sposa nel
1964 e da cui ha due figli, nati entrambi a Torino:
Matteo, nel 1969 e Agata, nel 1972.
1966-1970
L'esordio pubblico avviene nel gennaio 1967 con
un'esposizione personale alla Galleria Christian Stein di Torino,
dove presenta un nucleo di opere costruite e assemblate con materiali
extra-artistici e industriali, come l'eternit, il ferro, il legno,
il tessuto mimetico e le vernici a smalto, che continuerà
ad utilizzare anche nelle successive mostre.
Fra queste "Arte povera - Im spazio" alla Galleria La Bertesca di
Genova nel settembre 1967, l'occasione in cui Germano
Celant traccia per la prima volta le caratteristiche principali
del movimento Arte Povera, e a fine anno una personale nella stessa
galleria genovese.
Massimo sperimentatore, Boetti arricchisce il proprio lavoro con
una grande varietà di materiali e procedimenti, in opere
riferite agli oggetti quotidiani e ai gesti, come quello dell'accumulazione
in "Catasta" (1966), e di carattere concettuale
come "Lampada annuale" (1966), una lampadina che
si accende solo una volta all'anno, per undici secondi e in un momento
imprecisato, definita dallo stesso artista "un'espressione non dell'avvenimento,
ma dell'idea dell'avvenimento stesso"1.

Attratto dal rapporto con il corpo, Boetti rivela anche un forte
interesse verso il linguaggio e i fenomeni che si producono nella
realtà, realizzando opere in cui è presente l'aspetto
processuale, talvolta ambienti come il "giardino" allestito per
l'esposizione personale alla Galleria De Nieubourg di Milano nella
primavera 1968.
Partecipa alle principali esposizioni internazionali dell'Arte Povera
e degli artisti concettuali che Celant include nel volume Arte Povera
edito da Mazzotta nel 1969.
L'attività del movimento poverista, inteso come gruppo, terminerà
nel 1972.
Intanto, nel 1968, Boetti realizza "Gemelli", un
doppio autoritratto in fotomontaggio - la propria immagine riprodotta
in due figure simili ma non identiche che si tengono per mano -
dove la dimensione esistenziale si intreccia con quella artistica
attraverso una scissione del sè.
L'anno seguente si concentra sulla reiterazione del gesto, fra ossessione
e meditazione Zen, con "Cimento dell'armonia e dell'invenzione",
un paziente ricalco a matita di numerosi fogli di carta quadrettata,
una sorta di rituale eseguito registrando i suoni prodotti.
Al termine, l'artista annota la durata dell'operazione.
1971-1980
Nel marzo 1971 Boetti si reca per la prima volta
in Afghanistan, dove fino all'occupazione sovietica nel dicembre
1979 tornerà all'incirca due volte l'anno.
Egli commissiona alle donne afghane diversi tipi di manufatti, opere
da lui disegnate e ricamate secondo la tradizione locale. Con il
primo lavoro della serie "Mappa" (1971-1972), un
planisfero politico in cui ciascun territorio viene ricamato con
i colori e i simboli della bandiera di appartenenza, Boetti utilizza
"ciò che nella realtà già esiste, ma per la
prima volta attraverso un meccanismo che differenzia i soggetti
coinvolti nel progetto (l'artista) e nell'esecuzione (le afghane)"2. 
Nel 1974 Boetti dirà: "il lavoro della Mappa
ricamata è per me il massimo della bellezza. Per quel lavoro
io non ho fatto niente, non ho scelto niente, nel senso che: il
mondo è fatto com'è e non l'ho disegnato io, le bandiere
sono quelle che sono e non le ho disegnate io, insomma non ho fatto
niente assolutamente; quando emerge l'idea base, il concetto, tutto
il resto non è da scegliere"3.
È la svolta della sua opera in ambito essenzialmente concettuale,
avvenuta nel 1972 in concomitanza con lo sdoppiamento
del proprio nome in "Alighiero e Boetti" (operazione con cui mette
in crisi l'identità dell'artista stesso) e con il trasferimento
a Roma, dove egli dichiara di aver scoperto il colore.4
Fra i numerosi viaggi in Afghanistan, Boetti ne compie uno con Francesco
Clemente nel 1974 e uno con il figlio Matteo nel
1977 e durante uno dei primi soggiorni, ancora
intorno al 1972, apre a Kabul un albergo che chiama
One Hotel.

Appena giunto a Roma, Boetti avvia un altro meccanismo di cui si
fa regista, delegando l'esecuzione a terzi: la produzione delle
opere a penna biro (cfr. "Mettere al mondo il mondo", 1972-1973),
ovvero le serie di fogli di cartoncino che alcune persone vengono
incaricate di riempire seguendo le indicazioni dell'artista, ma
con un margine di libertà concesso alla gestualità
del tratteggio a penna.
In queste opere si ritrova così la manualità di un
gesto minimo ripetuto che era già in "Cimento dell'armonia
e dell'invenzione" e nel ricamo.
La prima mostra personale in un museo straniero, nel 1974
al Kunstmuseum di Lucerna, è seguita da un'importante antologica
alla Kunsthalle di Basilea nel 1978, e da numerose
esposizioni museali degli anni Ottanta e Novanta in Europa e Stati
Uniti.
1981-1994
 Nel
1985 si trasferisce in uno studio accanto al Pantheon,
luogo molto amato e citato nei testi che l'artista inserisce in
un gran numero di lavori, come frasi scritte con la mano sinistra
o sotto forma di lettere ricamate.
Le parole di Boetti vanno così a comporre una sorta di diario
privato che scorre parallelo alla quotidiana produzione delle opere.
Durante gli anni Ottanta e fino alle committenze dei Novanta, ricevute
dall'artista per grandi installazioni in ambienti museali, l'organizzazione
per la produzione delle opere è ben collaudata. Aumentano
i lavori su carta e si sperimentano nuove realizzazioni, ad esempio
i mosaici.
Come sempre, all'aspetto progettuale del lavoro segue l'apporto
esterno della manualità altrui.
Al Pantheon Boetti segue la progettazione e realizzazione delle
numerose tipologie di lavori, in particolare delle opere in tecnica
mista su carta con cui, nel 1980, ha inaugurato
una serie di cicli tematici (cfr. "La natura, una faccenda ottusa",
1980; "Tra sé e sé", 1987).
In un'intervista del 1986, Boetti chiarisce la
sua idea di pittura: "avevano ragione gli Etruschi a fare le foglie
blu: dipingere una foglia blu è un atto di invenzione del
mondo, dato che la foglia verde esiste già come tale nel
regno delle cose e sarebbe meno interessante come rappresentazione"5.
Nel 1985 torna in Giappone, dove ha già
esposto nel 1980 e insieme al calligrafo Enomoto
san realizza alcuni lavori su carta di riso.
Risale invece al 1983 la fedele riproduzione in
bianco e nero, a matita, delle prime copertine di riviste e periodici,
raccolte dapprima in mesi e poi in anni costituiti da 12 disegni
di copertine (cfr. "Anno 1990"). "In quel mese – scrive l'artista
– le immagini erano milioni. Oggi, forse qualche centinaio.
Poi, rimarrà solo questa copia sbiadita di un tempo coloratissimo".6
Sono opere dedicate all'attualità, un tema caro a Boetti
sin da quando, nel 1967, ha concepito l'opera in
progress "12 forme dal 10 giugno 1967" (1967-1971).
La produzione dei ricami è intanto ripresa grazie ai contatti
con i rifugiati afghani a Peshawar, in Pakistan e proseguirà
fino al 1994.
Nel 1990 Boetti è invitato alla Biennale
di Venezia con una sala personale.
La allestisce interamente con opere in tecnica mista su carta, affollate
da animali (insieme ad altri elementi ricorrenti nel suo lavoro)
e sovrastate da un "Fregio" (1990) che percorre
il perimetro superiore dell'ambiente, un ulteriore omaggio dell'artista
alla pittura antica.
In questa occasione riceve il "Premio Speciale della Giuria".
Separatosi da Annemarie Sauzeau nei primi anni Ottanta, nel 1990
sposa Caterina Raganelli e dall'unione nasce, nel 1992,
il terzo figlio Giordano .
Con l'arrivo delle commissioni più importanti, le opere sembrano
riflettere una creatività che guarda il mondo a 360 gradi.
Gli artisti più giovani si avvicinano a Boetti, che fra il
1992 e il 1993 è impegnato
nella regia di grandi realizzazioni come i 50 kilim "Alternando
da uno a cento e viceversa", un'opera collettiva per la personale
a Le Magasin di Grenoble.
Il senso ludico, spesso presente nelle sue opere, resta una componente
importante, tuttavia alcuni lavori sembrano rivelare una riflessione
esistenziale, forse un'ulteriore necessità di tracciare un
resoconto di vita.
Mentre la rassegna internazionale "Sonsbeek ‘93" espone la
scultura "Autoritratto" (1993) – una fusione
in bronzo della figura di Boetti che simbolicamente rappresenta
i quattro elementi aria, acqua, terra e fuoco – all'artista
viene diagnosticata la malattia che lo porterà alla morte,
il 24 aprile 1994, nella sua casa in via del Teatro
Pace a Roma.

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NOTE:
1) Dal testo redatto dall’artista per l’esposizione
personale alla Galleria Stein il 19 gennaio 1967, poi pubblicato
in: "b't", Milano, vol. I, n. 4, luglio 1967, pp. 9-10.
2) Diletta Borromeo, Alighiero Boetti, in Silvia
Bordini (a cura di), "Le tecniche dell’arte contemporanea:
le pratiche del video. Introduzione", Scriptaweb, Napoli 2006.
3) Alighiero Boetti in: Alberto Boatto (a cura di),
Alighiero & Boetti, cat. mostra (Ravenna, Pinacoteca e Loggetta
Lombardesca, dal 24 dicembre 1984 al 20 gennaio 1985), Edizioni
Essegi, Ravenna 1984, p. 122; il corsivo è nel testo.
4) Nicolas Bourriaud, Afghanistan, (intervista),
"Documents", Paris, n. 1, ottobre 1992, pp. 49-54.
5) Alighiero e Boetti in: Sandro Lombardi (a cura
di), Dall’oggi al domani, Edizioni l’Obliquo, Brescia
1988, pp.17-18.
6) Alighiero e Boetti in: Alberto Boatto (a cura
di), op. cit., p. 141.
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